La
valle del Savio ed i dintorni dei colli furono abitati fin dall'età
neolitica, come dimostrano materiali risalenti a tale periodo rinvenuti
nella zona del Monte ed a Borello.
Nell'anno 1000 il territorio cesenate è sotto il potere dell'arcivescovo
di Ravenna benchè Cesena godesse di una grande autonomia.Per
ridurre l'autonomia di Cesena il Papa Celestino II nel 1143 alloca,
cioè dà in amministrazione a Pietro di Onesto, ravennate,
" tutore dei figli di Rainerio de Cavalconte conte di Bertinoro,
i beni che la chiesa ravennate possedeva a Cesena e nel territorio
Cesenate.lI vescovo Anselmo, antistide ( Vescovo che presiedeva ed
amministrava la Diocesi) della Chiesa ravennate, acquista nel 1144
dai fratelli Ugo e Raniero, conti di Panico, un territorio nel Cesenate
chiamato Riversano (Roversano) che comprendeva due Castelli, parti
di territorio cesenate e il plebato di S. Vittore in Valle. Il 3 dicembre
1157 il Vescavo viene a ricevere il giuramento di fedeltà degli
abitanti e l'ossequio di Oddone, Vescovo della diocesi di Cesena.
Alla famiglia Cavalconte- Conte di Bertinoro- il castello di Roversano
fu riconfermato nel 1160 da Federico Barbarossa, nel 1209 da Ottone
IV e nel 1228 da Papa Gregorio IX.
Il castello di Roversano , situato in splendida posizione e con un
imponente elevatezza, era circondato da forti mura delle quali oggi
restano alcune vestigia; difeso da bastioni e baluardi in bell'ordine
disposti, aveva una sola porta d'ingresso "fatta secura"
da un robusto ponte levatoio e fiancheggiata da un robusto e forte
torrione.( Da il libro "Il castello di Roversano" di P.Benizzi-
1905). Questi elementi, mentre ci dicono che Roversano era un magnifico
e fortissimo castello, ci lasciano regionevolmente ritenere che la
sua costruzione debba risalire ad epoca anteriore e precisamente prima
dell'anno 1000. Roversano fu sempre considerato come un'appendice
della fortezza di Cesena da cui dista solo sette chilometri. Nulla
si conosce di positivo sull' origine del Borgo; si sa solo che all'epoca
della invasione dei Goti e dei Vandali aveva i suoi "Domicellos"
cioè castellani insigniti della dignità di Conti. L'antico
"Castrum Riversanum" deriva forse il suo nome da Ripa o
Rivus Sanus che, secondo una leggenda, gli sarebbe stato conferito
da una nobildonna la quale, mentre era di passaggio da Cesena, si
ammalò gravemente. Vinta l'acutezza della malattia venne in
questo Castello per respirarvi la sua aria salubre e ricostituente
e ne ebbe un così grande giovamento fisico che, riconoscente,l
ochiamo Castello di "Ripasanus ". Attorno al 1200 all'interno
del territorio cesenate vi erano terre governate da altre Signorie,
talvolta in guerra tra loro; anche Roversano aveva un proprio Signore
che , come accennato più sopra, aveva il titolo di Conte. Durante
le lotte fra Guelfi ( favorevoli al Papa) e Ghibellini ( favorevoli
all'Imperatore),nel 1273 i Cesenati vennero a battaglia coi ghibellini
forlivesi , alla cui testa si era posto Guido da Montefeltro, capo
dei Ghibellini romagnoli. Il primo scontro avvenne nella valle di
S. Vittore ed i Cesenati ebbero la peggio e furono costretti a ritirarsi
a Roversano dove si fortificarono validamente. I Forlivesi impegnati
in battaglia anche coi Bolognesi, non poterono inseguirli immediatamente;
ma una volta sconfitti questi ultimi, corsero subito a Roversano,
lo cinsero d'assedio mantenendolo per due anni, al termine dei quali,
nel 1275, riuscirono ad espugnarlo.
Coi vincitori Forlivesi entrarono in Roversano anche i Cesenati di
parte Ghibellina ed insieme misero a fuoco le case degli odiati avversari.
Questo periodo, come narrano le cronache, fu assai duro e pieno di
sofferenze per gli abitanti di Roversano.Un dettagliato racconto della
caduta di Roversano si deve al Cobelli: - Nell'anno 1275 prima domenica
di Settembre Il magnifico Conte Guido da Montefeltro, capitano generale
di Forlì e Faenza e di tutte le truppe della lega romagnola,
andò con tutte le truppe verso Roversano, il quale dista tre
miglia da Cesena, per espugnare detto Castello. Messer Galeotto de
Lambertinis da Bologna, podestà di Cesena, con molti altri
Guelfi Cesenati,si era rifugiato nel castello di Roversano. Messer
Malatesta, il quale era a Cesena, accorse con l'esercito Cesenate
in difesa del castello. Si accese una grande battaglia ed i Cesenati
si difesero strenuamente.
A dar manforte ai forlivesi si aggiunse Messer Guglielmo de Pacis,
capitano dei faentini.
Subito cominciò la battaglia contro Messer Malatesta il quale,
messo in fuga, si rifugiò a Cesena.
Allontanato il Malatesta, Guido da Montefeltro fece circondare il
castello ed infine lo espugnò.
A seguito della presa di Roversano anche Cesena si arrese. Vent'anni
dopo, nel 1295 Roversano venne ricostruito dai Ghibellini e furono
riedificate le case date alle fiamme nel 1275. Il castello continuava
ad essere oggetto di dispute fra guelfi e ghibellini. Una volta ricostruito
e di nuovo in buone condizioni Roversano destò interessi di
conquista da parte di certi signori Marani che costituivano una frazione
a parte dei Guelfi di Cesena. I Marani, con l'aiuto di gruppi di fuoriusciti
che essi avevano organizzato all'interno della propria fazione, assalirono
improvvisamente il Castello e se ne impadronirono togliendolo ai Forlivesi.
Questo fatto non piacque ai guelfi cesenati che non tollerando la
fazione dei Marani e tanto meno le loro scorrerie da avventurieri,
decisero di togliere il castello di Roversano dalle mani dei Marani.
Guidati da Galasso, loro capitano, e dal Vicario della chiesa ravennate
i Cesenati marciarono contro i Marani, cinsero d'assedio Roversano
ed in tempo breve se ne impadronirono. Era l'anno 1296 ed i signori
del Castello ( gli Alberigo) furono nominati " Conti di Roversano".
Intanto, ritornata sotto il dominio della Chiesa, Cesena è
insofferente delle pretese arcivescovili. Il 18 dicembre 1295 Cesena
accoglie dentro le mura ed offre uno stipendio al figli di Alberico,
castellano di Roversano, che avevano ucciso a Cava del Colle un importante
funzionario arcivescovile definito "uomo malvagio ed usurpatore
dei beni cesenati".
I Forlivesi, comunque, non si erano rassegnati alla perdita di Roversano,
ritenuto posizione importante dal punto di vista strategico e perduto
, fra l'altro, in modo piuttosto vergognoso, dal punto di vista militare,
per mano di un gruppetto di avventurieri cesenati, scesero di nuovo
in armi con il fermo proposito di riconquistarlo. Ma Guglielmo Durante,
Conte e Vicario delle Romagne, attento a ciò che stava per
accadere ed appena saputo delle intenzioni dei Forlivesi fece pubblicare
un editto con cui minacciava di scomunica tutti coloro che , "contro
la mente di Santa Madre Chiesa ", si fossero uniti ai forlivesi
contro il castello di Roversano. La grave minaccia raggiunse il suo
scopo ed i forlivesi rinunciarono. A seguito del giubileo indetto
da Papa Bonifacio VIII i capi ghibellini di Cesena, città ancora
nominalmente soggetta all'Arcivescovo di Ravenna, cercano un compromesso
con il Cardinale Matteo d'Acquasparta, nuovo rettore della provincia.
Il primo a cercare un accordo con il Cardinale è Raul Mazzolini.
Quando il nuovo capitano del popolo Federico vuole rafforzare le difese
del castello e della Murata il popolo insorge ed il 13 maggio 1301
dirocca il forte e scaccia podestà e capitano. Il Cardinale
Matteo d'Acquasparta accorre subito da Rimini ed insedia come podestà
Gerardo Mazzolini. Il primo atto del nuovo governo è di restituire
all'Arcivescovo i castelli che gli erano stati tolti ed inizia la
costruzione del porto di Cesenatico. I ghibellini romagnoli si alleano
fra loro ed aiutati dalle milizie ghibelline di Arezzo ed dai castellani
destinati a ritornare sotto il dominio arcivescovile invadono il territorio
cesenate facendone scempio ed espugnandone i castelli, ad eccezione
del castello di Roversano e Formignano; smantellano persino il porto
di Cesenatico, la cui costruzione riprenderà il 1 giugno 1314
e lo sbocco al mare avviene il 10 agosto 1314. Il porto viene ridistrutto
nel 1319 e ripristinato alcuni anni dopo da Aimerico. Il 20 maggio
1303, a seguito dell'alleanza di Cesena con Rimini, assume l'incarico
di podestà e di capitano Umberto Malatesta ed inizia l'alleanza
con la grande casata. In questo periodo Roversano destò l'interesse
di un altro signore del vicinato, Bernardino da Polenta, il quale,
incurante della scomunica, operò in modo tale che in brevissimo
tempo venne in possesso del Castello togliendolo ai cesenati. Sembra
che Bernardino avesse corrotto con l'oro sia il signore di Roversano,
Alberico (che rimase castellano di Roversano), sia i " terrazzani
", cioè gli abitanti del circondario. I cesenati sopportavano
con malavoglia il possesso di Roversano da parte dei de Polenta ed
avendo saputo che il castellano Alberico li aveva traditi a favore
del mortale nemico Bernardino da Polenta, il 28 maggio 1304 i cesenati,
guidati dal Malatesta assediarono Roversano. Il podestà di
Cesena porta con sé un argomento convincente : i due figli
di Alberico da lui fatti arrestare a Cesena, città ove risiedevano
stabilmente ed in cui vivevano, come detto, con uno stipendio del
Comune, fa innalzare due forche sotto le mura del castello.
"Chiamate messer Alberico, ecco i suoi due figli giovanetti forti;
ma se non ci rende la rocca potente vi dico che i suoi due figli presto
saranno morti.". così minacciò il Malatesta. L'orribile
spettacolo induce Alberico alla resa mentre i ragazzi, fatti scendere
dalla forca semisvenuti, si danno alla fuga. Lo stesso fatto, in una
" Storia di Cesena" di Zazzeri-Raimondo, viene così
descritto: Con il pontificato di Benedetto XI di Treviso fu spedito
come legato pontificio nella Romagna Tebaldo Brusati di Brescia che
venne ad abitare a Cesena.
Essendo Tebaldo acerrimo nemico dei ghibellini, fu osteggiato da Bernardino
da Polenta che, per fargli guerra, venne in quel di Cesena e pose
l'assedio al castello di Roversano.
Era castellano un Alberico che, sprovvisto di forze, credette miglior
cosa venire a patti con Bernardino. Da ciò fortemente offeso
il Legato fece prigionieri in Cesena i due figlioli di Alberico e
con essi si portò dinanzi alle porte del castello minacciando
di farli impiccare…… Il 7 luglio dello stesso anno il
comune di Cesena fa demolire dalle fondamenta il castello "insigne
e bello".
Nel 1318 diviene podestà e capitano del popolo di Cesena Aimerico
il quale, oltre ad altre opere, provvede a restaurare il castello
di Roversano. Nel 1319 Roversano era ritornato alla Santa Seda e fu
fortificato con una rocca; poi di nuovo fu dei Malatesta, ai quali
ancora una volta fu tolto nel 1324 da Francesco Ordelaffi da Forlì
il quale, espulso con infamia dalla città di Cesena, con intento
di feroce conquistatore cavalcò alla volta del Castello di
Roversano, lo saccheggiò e lo smantellò distruggendolo
quasi completamente. (libro V della storia di Rimini del Clementi)
Di durata assai breve fu il trionfo di Francesco Ordelaffi poiché
i cesenati ben presto riconquistarono il castello di Roversano tassandolo
però di un canone annuo e dal quale venne esonerato nel 1332
per decreto di Guido, Arcivescovo di Ravenna. Però l'esonero
ebbe una breve durata per Roversano poiché poco dopo, il conte
Ugolino Corbario li riaggravò di una tributo di 260 fiorini
annui a favore del Vescovo Egidio Sabiniense o Subienense, tributo
che venne pagato fino all'anno 1365, anno in cui fu esonerato dall'Arcivescovo
Petrocino o Petrocinio. Nel 1333 Cesena cade sotto il dominio degli
Ordelaffi il quale affida il 14 marzo 1334 la città alla moglie
Marzia degli Ubaldini che vi trasferisce con il figliastro Francesco
il quale si impadronisce di tutto il territorio della valle del Savio
e del Montone. Nel 1340 l'Ordelaffi, per un decreto dell'imperatore
tedesco (Lodovico il Bovaro), diventa signore di Forlì, Cesena
e castelli circostanti, fra cui Roversano. Nel 1357 gli Ordelaffi
vengono sconfitti dal cardinale Albarnoz e la città ed i castelli
circostanti vengono restituiti alla chiesa. Nel 1371 il castello di
Roversano , con 50 focolari, era ritornato sotto il dominio della
Chiesa di Ravenna che ne affidò la temporanea custodia a Ubaldo
Ubaldini che in seguito si rifiutò di restituire il castello
alla Chiesa Ravennate e nel 1392 lo vendette a Cecco e Pino degli
Ordelaffi. In merito a questo fatto lo storico Giovanni Pedrino racconta:
- Come il castello di Roversano venne in possesso dei Signori di Forlì,
cioè a Cecco e Pino Ordelaffi in questo modo: il figlio di
Gasparre degli Ubaldini, di nome Ubaldino, era in possesso della rocca
di quel Castello.
Pur essendo a conoscenza che molti Castelli venivano restituiti ai
Malatesta od alla Chiesa Ravennate, si accordò per la cessione
ai ghibellini Cecco e Pino Ordelaffi con il consenso degli abitanti
del Castello. Poi Ubaldino andò a Forlì onorato e ricompensato.
L'Arcivescovo di allora, Migliorati, che fu poi papa col nome di Innocenzo
VII, non si rassegnò alla perdita del Castello; raccolse subito
un forte esercito e marciò contro i ghibellini padroni di Roversano.
Vinti questi Roversano ritornò alla chiesa di Ravenna e rimase
sottomesso ad essa fini al 1403, anno in cui passò ad Andrea
Malatesta. Anche il governo di Andrea Malatesta non fu lungo ne pacifico
a causa delle continue rivalse dei Signori di Forlì. Sembra
che ad un certo punto si ponesse fine alle dispute per diretto interessamento
del Papa. Nel 1415 i Malatesta di Cesena, sempre vicini al Papato,
ottennero in Vicariato il castello di Roversano e vari altri Castelli
con ogni probalità grazie ad altre concessioni fatte ai ghibellini
di Forlì. Sotto il vicariato dei Malatesta Roversano potè
godere di un lungo periodo di tranquillità. Nel 1425 la chiesa
di S. Pietro in Roversano fu elevata a parrocchia. Il primo od il
28 gennaio 1379 Galeotto Malatesta diviene signore di Cesena. Dal
1454 diviene signore di Cesena Novello Malatesta il quale, oltre a
numerose opere, quali la costruzione della biblioteca che da lui prende
il nome, fa costruire il ponte in muratura sul fiume (ponte vecchio)
che, travolto da una piena nel 1684, fu ricostruito nella forma attuale
tra il 1766 ed il 1771, la diga a Mulino Cento ed il canale dei mulini,
per la cui costruzione fu necessariocostruire una lunga galleria sotto
il monte della Branzaglia. Tutti i mulini di Cesena sono di proprietà
di Malatesta Novello; a Roversano vi era il mulino della Bugazza che
il Malatesta fa gestire da un suo incaricato ed i cui utili ( del
mulino della Bugazza) li devolvere per il mantenimanto di 10 studenti
nello Studio Francescano. Con la morte del Malatesta avvenuta il 20
novembre 1465 il potere passa al nipote Roberto indi al padre Sigismondo
alla morte del quale, avvenuta nel 1468, Cesena e castelli, fra cui
Roversano, ritornano alla Chiesa. Spentosi la linea dei Malatesta
Roversano continuò ad essere governato dai Cesenati che lo
amministrarono come una frazione del loro territorio fino al 1552
con una parentesi nel 1502 quando fu occupato da Federico da Montefeltro
e che poi fu costretto a restituirlo alla Santa Sede. Da un documento
del 1512 risulta che l'ordinamento politico della contea di Roversano
era retta da un consiglio generale, un consiglio ristretto e due consoli.
Papa Giulio III nel 1554 infeudava il Castello di Roversano a Cristoforo
Cacciaguerra e detto feudo fu rinnovato fino al 1623, anno in cui
si estinse la linea della famiglia Cacciaguerra. Ultimo della linea
diretta di questa famiglia fu Perinto, morto a 17 anni il 5 maggio
1623. Sotto il pontificato del papa Paolo IV la famiglia Cacciaguerra
ottiene l'autorizzazione ad aprire il mercato a Roversano il 24 marzo
1550; è un tentativo per cercare di impedire il distacco dell'antico
feudo arcivescovile dalla comunità cesenate. Il 22 marzo 1661
Roversano fu distrutto quasi completamente da un violentissimo terremoto.
Per combattere contro i francesi durante la dominazione napoleonica
giunse a Cesena una colonna di cavalleria napoletana, mandata dai
Borboni per impedire che la Romagna si staccasse dallo Stato Pontificio.
I francesi erano sporchi, disordinati e rapaci e quelli che uscivano
dai ranghi si disperdevano nelle campagne.
I contadini, per non essere massacrati, li uccidevano e li seppellivano
nei loro campi.
Il 5 febbraio 1795, 25 fanti e 12 dragoni francesi furono uccisi dai
soldati pontifici a Roversano.
Per la storia questi soldati laceri e a piedi nudi entrarono e conquistarono
Napoli senza trovare seria resistenza. Roversano fu istituito come
comune forse fin dal 1600; è comunque certa l'annotazione storica
che riporta il rifiuto del Comune di Roversano alla proposta di Napoleone
I di estendere in più ampi confini l'area del comune. Attorno
al 1892 la sede del comune che era situata vicino al Castello, fu
spostata nella parrocchia di San Carlo Roversano è stato comune
fino al 1925 e nel suo territorio erano comprese le frazioni di S.
Carlo, Castiglione e Taverna. Il comune, nel 1894, aveva una superficie
di 1068 ettari e contava 1907 abitanti ed era un'isola nel comune
cesenate. Il confine fra i due comuni era costituito dal rio Baccaredo
dal quale sgorgavano acque salate usate dagli abitanti della zona
per usi di cucina. Nel 1926 il comuna di Roversano fu inglobato a
Cesena in cambio di: - una fontana pubblica allacciata ad un pozzo
a valle ( la cisterna che alimentava la fontana e che veniva rifornita
da una pompa elettrica posta nel pozzo a valle è posta nella
sala situata nei resti del torrione che si trova alla sinistra della
porta); - anaffiamento delle strade del paese durante i mesi estivi
; - disponibilità di tre posti letto nell'ospedale per gli
ex cittadini di Roversano.
La
CHIESA
La chiesa di Roversano è situata all'interno di quello che
un tempo era il perimetro murario.
Un tempo, adiacente posteriormente ad essa, vi era il cimitero trasferito
poi fuori dalle mura nella posizione in cui si trova attualmente.
L'attuale chiesa, la cui prima pietra fu posta nel 1664, ricalca quella
antica di S.
Pietro crollata nel 1961 a causa di un violento terremoto.
Nelle cronache del Burchi è scritto che a Roversano, nel 1290,
esistevano ben tre chiese dedicate a S. Pietro, S. Giorgio e S. Vicinio;
in particolare S. Pietro divenne parrocchia nel 1425 e nel 1564 si
cominciò il libro degli sposalizi.
L'ARCO
Il castello di
Roversano aveva una sola porta di ingresso fatta sicura da un robusto
ponte levatoio e fiancheggiato da un forte e grosso torrione ( Pio
Benizzi-1905 ).E' probabile che i torrioni fossero due: uno posto
alla sinistra di chi entra ed i cui resti si possono ancor oggi ammirare
e l'altro posto alla destra in posizione speculare all'altro ed andato
distrutto. La porta d'accesso, detta "Arco di Roversano "
per la sua forma arcuata, tipologicamente è composta da due
aperture di cui una ampia carrabile ed una pedonale di dimensioni
ridotte. Un tempo costituiva un punto nevralgico sia dal punto di
vista militare che economico in quanto era il punto ove era posto
il posto di guardia, si controllavano tutti coloro che entravano nel
castello e ove si pagavano i dazi sulle merci che entravano nel castello.
Al calar della sera, le porte venivano serrate ed il ponte levatoio
sollevato e nessuna poteva entrare od uscire dal castello.Il ponte
veniva riabassato e le porte riaperte alla mattina del giorno dopo.
Si dice che la porta risalga all'anno 1000. La porta oggigiorno non
porta alcun segno che denoti l'esistenza del ponte levatoio al contrario,
per esempio, della porta del castello di Sorrivoli in cui sono ancor
oggi perfettamente conservate le strutture murarie occorrenti per
la manovra del ponte come le feritoie da cui uscivano le travi che
avevano la funzione di bilanciare, con apposita contrapesatura, il
peso del ponte.
I
TORRIONI
Oggi rimangono
solo i resti di quelli che erano i torrioni del castello, torrioni
distrutti sia dai terremoti ( in minima parte) che dai borbardamenti
subiti dirante l'ultima guerra. Gli abitanti poi hanno utilizzato
il materiale recuperato dalle macerie sia dei torrioni che delle mura
per costruire le proprie abitazioni, cosi come si può vedere
nelle vecchie case.Percorrendo il perimetro murario oggi ne sono identificabili
quattro, ma un tempo erano più numerosi come pure ha interpretato
il pittore Malmerendi nel suo dipinto collocato nella chiesa di Roversano.
( I torrioni per alcuni erano nove, per altri undici). Pio Benuzzi
in merito scrisse (nel 1905 ): Il castello di Roversano, situato in
una splendida ubicazione, con una imponente elevatezza, era circondato
da forti mura delle quali anche al presente restano alcune vestigia
da bastioni o baluardi in bell'ordine disposti.
LO
SCURTADUR
Era ed è tuttora chiamato il percorso più breve che
collega la torre ed il borgo medioevale all'abitato di San Carlo.
Si inerpica comodo e veloce all'ombra di rubinie e roveri. Dopo uno
stretto tornante si divide : da un lato si congiunge con la strada
comunale mentre dall'altro prosegue, attraverso campi privati, fino
al colle su cui si erge la torre emblema di Roversano.
Qualcuno ricorda che per mantenerlo percorribile anche in inverno
alcuni tratti erano stati sistemati a scalini fatti con mattoni prodotti
dalla fornace di S. Carlo.Leggende locali narrano che in passato esisteva
un collegamento sotterraneo fra la torre ed il castello e che veniva
utilizzato nei momenti di emergenza, ma questa rimane solo una leggenda
benchè circondata da un indubbio fascino.
LA
VIA CASTELLO
Roversano si sviluppa linearmente lungo l'asse principale che ricalca
quello di crinale che attualmente si chiama via Castello; è
l'unica via carrabile all'interno della cinta muraria. Lungo il suo
tracciato vi si svolgevano tutte le attività connesse alla
vita del borgo. Un'altra strada, questa solo pedonale, corre lungo
le mura alla sinistra di chi entra e va fino alla parte opposta delle
mura. E' probabile che questa strada ricalchi il percorso dell'antico
cammino di ronda che seguiva tutto il perimetro delle mura. L'attuale
strada (via Castello) quasi certamente è stata costruita quando
il castello aveva perso la sua funzione di piazzaforte e di luogo
fortificato; infatti per i canoni costruttivi dei sistemi difensivi
dell'epoca la porta che immetteva al castello non era in asse con
la strada principale ma , oltrepassata la porta, immetteva in detta
strada mediante un percorso sterzato delimitato , per il primo tratto,
da ambo i lati da un muro e un terrapieno sul quale i difensori potevano
bersagliare dall'alto gli eventuali invasori e questo per evidenti
ragioni militari di tattica difensiva. Infatti la porta della chiesa
doveva essere in asse con la via principale e la facciata faceva da
fondale alla strada stessa, mentre attualmente la porta è disassata
rispetto la via attuale.
RESTI
DELLE MURA
Sono ciò che rimane dell'antico castello colpito da varie vicissitudini.
La storia racconta che saccheggi, incendi e terremoti hanno distrutto
numerose volte la cinta muraria. Nel 1300 il castello fu demolito
dalle fondamenta , ricostruito dalla Santa Sede nel 1319, restaurato
dai Malatesta nel 1415 fu irremidiabilmente leso dal terremoto del
1483 ed ultimo quello del 1661 che provocò il crollo quasi
totale del sistema murario-difensivo. Come detto più sopra
il materiale murario fu poi utilizzato dagli abitanti per costruire
le proprie abitazioni. Vi sono gallerie che partendo dai torrioni
probabilmente seguivano il percorso delle mura (oggi ne esistono solo
piccoli tratti ed in gran parte interrati). La funzione di queste
gallerie erano molteplici; permettevano, con un percorso otterraneo,
ai difensori di portarsi alle spalle di eventuali nemici penetrati
all'interno delle mura. L'altra funzione molto importate era di difesa
preventiva; infatti consentivano di ispezionare la base delle mura
e controllare che gli eventuali nemici non scavassero gallerie per
penetrare entro il perimetro del castello sorprendendo i difensori.
Inoltre all'interno del castello vi sono stanze sotterranee collegate
tramite ampie gallerie all'esterno delle mura. Queste stanze servivano
sia per immagazzinare viveri che per cisterne dell'acqua piovana in
vista di un assedio. Certamente non venivano usate come stalle per
cavalli od altro bestiame in quanto, dato lo spazio limitato entro
le mura, i cavalli dentro il castello erano solo quelli di pertinenza
del castellano mentre le truppe poste a difesa del castello appartenevano
alla fanteria in quanto la cavalleria, come è facilmente intuibile,
era un corpo d'attacco; inoltre, sempre per un eventuale assedio,
eventuali animali erano un peso per gli assediati a causa del grande
fabbisogno di cibo e di acqua che occorreva per il loro ostentamento
e non erano di nessuna utilità per gli assediati. Gli animali
che si trovavano entro le mura venivano eventualmente tenuti in appositi
luoghi posti in superficie ed eventualmente utilizzati come cibo dagli
assediati.
LA
TORRE
La torre, posta nel poggio più alto, è a base quadrata
di mt. 8x8 ed è alta 16 metri. Anticamente la torre doveva
servire, oltre che per avvistamento, anche per segnalazione. Infatti
era inserita in un sistema di torri visibili una con l'altra :dalla
rocca di Cesena si vede la torre di Roversano dalla quale si vedeva
quella, ora scomparsa del castello di S.Lucia ecc. Sembra che un messaggio
spedito da Cesena con questo sistema di rilanci, raggiungesse Roma
in circa 7 ore. Le segnalazioni venivano effettuate sia con materiali
riflettenti che con fuochi, perciò la torre era priva di tetto.
Il tetto fu costruito quando ormai il castello aveva perso la sua
funzione e la torre fu utilizzata come torre campanaria con l'istallazione
della campana dell'orologio che fungeva anche da campana civica che
veniva attivata nelle varie circostanze e, data la posizione della
torre, il suo suono veniva udito a grande distanza. La vecchia campana
pesava 16 quintali fu asportata dai tedeschi durante l'ultima guerra
facendola ruzzolare giù dalla rupe. Dopo gli eventi bellici
fu sostituita da una campana più piccola ( 6/7 quintali ).
Ancor oggi si può notare la parte aggiunta alla torre per ricavare
la cella campanaria.
BIBLIOGRAFIA
“Breve storia
della città di Cesena” di Sigfrido Sozzi.
“Cenni storici su Roversano”, opuscolo edito dall'A.R.C.I.
di Roversano.
Articoli apparsi su “IL RESTO del CARLINO”.
Opuscoli editi dal circolo culturale “LA TORRE SUL FIUME”.